Così comincia una canzone degli Who del 1965. S'intitola My generation.
Una canzone manifesto, un inno giovanile. Note che profumano di ribellione e insoddisfazione. Parlano di rivincita contro il paternalismo di un sistema che non ascolta, anzi, ha l'ipocrita premura di consigliare, di offrire un patetico vademecum per l'omologazione. Ci sono stati momenti in cui l'insofferenza accomunava in egual misura i pari età spingendo, non con poche contraddizioni, verso l'alto aspirazioni e disegni di futuro. Una voglia comune di superare la facile fase della lamentela e proporre, con inevitabile confusione, soluzioni, risposte, assalti al cielo. Quei tempi non ci sono più.
L'atomismo sociale impedisce la lettura condivisa del presente e lascia il singolo nelle grinfie dell'arrivismo. Un agonismo falsato dal doping dell'indifferenza.
Si vive per il giudizio altrui, meglio se colorato d'invidia e ci turba il disinteresse degli "utili idioti". Ma dov'è finita quella molla di rancore generazionale che tanto ha infiammato i cuori? Dov'è finita quell'ansia di sbagliare, di correre in vespa come Jimmy in Quadrophenia sopra le scogliere di Beachy Head?
Viviamo più vecchi dei vecchi e stiamo attenti a non cadere nella tagliola dell'impegno. Abbiamo l'ansia di essere come loro e abbiamo barattato la speranza con la sicurezza, l'ironia con la carriera.
Un giorno qualcosa cambierà e verrà presentanto il conto.
ScintillA
Un poeta genovese prestato divinamente alla canzone scriveva così:
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le verità della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
colonna sonora
The Who My generation
Fabrizio De André Canzone del Maggio
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